Il diritto di abitazione a favore del coniuge superstite.
La disciplina successoria contiene previsioni che garantiscono particolari tutele ad alcune categorie di soggetti.
Tra queste spicca l’art. 540 cod. civ., che attribuisce al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare (e di uso sui mobili che la corredano) se di proprietà del defunto o comuni.
La chiara finalità della norma, di consentire al superstite l’abitazione della casa coniugale, incontra criticità interpretative in sede di applicazione.
Nell’ambito preliminare della identificazione delle quote ereditarie, quando vi siano più coeredi e, addirittura, altri eredi legittimari (come genitori o figli del coniuge defunto), lo stesso art. 540 cod. civ. prevede: “Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”.
In altri termini, secondo la norma, il diritto di abitazione del coniuge superstite prevale sui diritti degli eredi non legittimari e, solo se la quota di riserva del coniuge superstite non sia sufficiente, può gravare anche sulla quota di riserva dei figli legittimari.
Al di là delle criticità di inquadramento teorico del diritto, meritano di segnalarsi alcune recenti pronunzie che si sono occupate di identificare in concreto l’oggetto del diritto di abitazione, precisando la definizione di “casa adibita a residenza familiare” quale riportata dall’art. 540 cod. civ.
Si veda tra le più recenti:
Cass. civ., sez. II, 10.03.2023, n. 7128: “Il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall'art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola "casa adibita a residenza familiare", e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l'individuazione di un solo alloggio costituente, se non l'unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia".
La necessità di circoscrivere il diritto ad un solo alloggio, quale luogo di prevalente aggregazione dei coniugi, ha condotto a interessanti pronunzie con riguardo a fattispecie di immobili a natura o struttura “bifamiliare” anche se di proprietà del defunto o (comune) dei coniugi
Merita di citarsi
Cass. civ., sez. VI, 22.06.2020, n. 12042: “Il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, secondo comma, c.c.), può avere ad oggetto soltanto l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del "de cuius" come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare".
(in senso conforme anche Cass. civ., sez. II, 14.03.2012, n. 4088).
Tra queste spicca l’art. 540 cod. civ., che attribuisce al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare (e di uso sui mobili che la corredano) se di proprietà del defunto o comuni.
La chiara finalità della norma, di consentire al superstite l’abitazione della casa coniugale, incontra criticità interpretative in sede di applicazione.
Nell’ambito preliminare della identificazione delle quote ereditarie, quando vi siano più coeredi e, addirittura, altri eredi legittimari (come genitori o figli del coniuge defunto), lo stesso art. 540 cod. civ. prevede: “Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”.
In altri termini, secondo la norma, il diritto di abitazione del coniuge superstite prevale sui diritti degli eredi non legittimari e, solo se la quota di riserva del coniuge superstite non sia sufficiente, può gravare anche sulla quota di riserva dei figli legittimari.
Al di là delle criticità di inquadramento teorico del diritto, meritano di segnalarsi alcune recenti pronunzie che si sono occupate di identificare in concreto l’oggetto del diritto di abitazione, precisando la definizione di “casa adibita a residenza familiare” quale riportata dall’art. 540 cod. civ.
Si veda tra le più recenti:
Cass. civ., sez. II, 10.03.2023, n. 7128: “Il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall'art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola "casa adibita a residenza familiare", e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l'individuazione di un solo alloggio costituente, se non l'unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia".
La necessità di circoscrivere il diritto ad un solo alloggio, quale luogo di prevalente aggregazione dei coniugi, ha condotto a interessanti pronunzie con riguardo a fattispecie di immobili a natura o struttura “bifamiliare” anche se di proprietà del defunto o (comune) dei coniugi
Merita di citarsi
Cass. civ., sez. VI, 22.06.2020, n. 12042: “Il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, secondo comma, c.c.), può avere ad oggetto soltanto l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del "de cuius" come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare".
(in senso conforme anche Cass. civ., sez. II, 14.03.2012, n. 4088).
a cura di
avv. Emilio Augusto Galbiati