Il diritto allo studio degli studenti va anteposto alla libertà di insegnamento

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17897/2023 ha posto la parola fine alla vicenda iniziata a seguito di provvedimento di dispensa dall’insegnamento ex art. 512 d.lgs. n. 297/1994, emesso da parte della P.A. il 02.03.2017 nei confronti di un’insegnante di ruolo di storia e geografia della scuola secondaria di secondo grado per incapacità didattica, da intendersi come "assoluta e permanente inettitudine alla docenza”.
La docente in questione impugnava per illegittimità il provvedimento e il Tribunale del lavoro accoglieva il ricorso ritenendo che i fatti posti a fondamento del provvedimento di destituzione non fossero supportati da adeguati elementi probatori (né i documenti acquisiti a seguito della visita ispettiva ministeriale, né le dichiarazioni di alunni e professori ivi contenute, in quanto il periodo di tale valutazione ispettiva era troppo "stretto e breve"). Ordinava la reintegra dell'insegnante con pagamento di tutte le retribuzioni, oltre rivalutazione e interessi e con spese di lite.
La Corte di Appello ribaltava l’esito del giudizio di primo grado, dando invece rilievo probatorio ai verbali dai quali risultavano fatti storici avvenuti in presenza delle ispettrici, degli insegnanti, degli allievi e considerandoli prove valutabili ai fini di causa.
La docente, appellandosi all’insindacabile espressione della libertà di insegnamento del docente, intesa come autonomia didattica e libertà di espressione, ricorreva in Cassazione contestando che il provvedimento di dispensa ex art. 512 d.lgs. n. 297/1994 potesse essere applicabile alla fattispecie in esame, trattandosi di un'insegnante di ruolo che aveva superato il periodo di prova, che i fatti allegati fossero idonei a fornire la prova del carattere di assolutezza e permanenza della supposta incapacità attribuita alla ricorrente, e, infine, che il periodo esaminato sarebbe stato troppo breve.
La Cassazione, richiamando precedenti sul punto, innanzitutto chiarisce che spetta al Dirigente dell'istituzione scolastica ove il dipendente presta servizio il potere di dispensarlo dal servizio per incapacità didattica: detta dispensa si limita a constatare l'oggettiva inidoneità a svolgere la funzione di insegnante. L'incapacità didattica che rende il docente non idoneo alla funzione consiste nell'inettitudine assoluta e permanente a svolgere le mansioni inerenti all’insegnamento e le prestazioni insoddisfacenti possono essere determinate anche da insufficiente impegno o violazione dei doveri d'ufficio.
Posto, poi, che il provvedimento in questione può derivare anche da una perdita dell'attitudine all'esercizio della funzione docente manifestatasi nel corso del rapporto, privo di rilievo è stato ritenuto il superamento del periodo di prova da parte dell'insegnante, ben potendo l'incapacità didattica sopravvenire ad esso nel corso degli anni successivi.
Quanto ai fatti posti a fondamento della sentenza impugnata, la Cassazione ha dato atto che il dirigente scolastico, pervenute lamentele nel periodo gennaio-maggio 2015, aveva effettuato colloqui con un numero significativo di studenti e genitori dai quali erano emersi fatti degni di attenzione.
A fronte di ciò, il Dirigente scolastico aveva chiesto un'ispezione cui aveva fatto seguito il rapporto del dirigente tecnico e infine il provvedimento di dispensa dall’insegnamento.
I comportamenti lamentati da numerosi studenti, docenti e personale scolastico erano stati oggetto anche di verifica da parte delle ispettrici sia con partecipazione alle lezioni sia con colloqui con l’insegnante stessa. All’esito era risultato che la docente non aveva i libri di testo, presentava disattenzione durante l'interrogazione (uso continuo di cellulare con messaggistica), effettuava un'assegnazione i voti in modo casuale, aveva una carente metodologia di lavoro manifestata da lezioni sostanzialmente improvvisate oltre al fatto che, rientrata a scuola dopo un periodo di assenza, non aveva nemmeno preso visione del programma svolto dal supplente che l'aveva sostituita ed era stata gravemente imprecisa nel redigere i programmi finali delle classi (numero di ore diverso da quello dedicato effettivamente alle spiegazioni, argomenti non svolti). Da ciò la Corte ne traeva un giudizio tecnico di modalità incompatibili con l'insegnamento nella scuola secondaria.
Alla luce del fatto che fosse documentato che la docente su 24 anni di insegnamento, risultava essere stata assente per complessivi 20 anni (di cui i primi 10 totalmente assente e per i residui 14 anni era in gran parte in malattia da 40 a 180 giorni per anno), totalizzando in definitiva un totale cumulativo di soli 4 anni di insegnamento che rendeva impossibile esaminare periodi più lunghi di quelli oggetto di ispezione (ovvero 5 mesi nel 2015 e il mese di febbraio 2016), la Suprema Corte concludeva che il periodo di verifica analizzato fosse l'unico periodo di insegnamento concretamente valutabile.
Tanto premesso la Cassazione conclude che la libertà di insegnamento quale libertà individuale pur costituendo un valore costituzionale, non è illimitata, trovando il proprio più importante limite nella tutela del destinatario dell'insegnamento: la libertà di insegnamento in ambito scolastico dev’essere quindi intesa come “autonomia didattica” diretta e funzionale a una “piena formazione della personalità degli alunni” titolari di vero e proprio “diritto allo studio” e deve costituire il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno.
In ultima analisi, la "libertà didattica", pur prevedendo un'autonomia nella scelta di metodi appropriati d'insegnamento, non può significare l’assenza di alcun metodo o che l’insegnante possa non organizzare e non strutturare le lezioni in quanto equivarrebbe a una "libertà di non insegnare" incompatibile con la professione di docente.
A fronte dei plurimi riscontri fattuali attraverso i quali la Corte territoriale aveva ritenuto comprovata la sussistenza di gravi problematiche riconducibili alla ricorrente e, come detto, attinenti alla mancanza di quel minimo di elementi essenziali alla capacità di insegnamento che solo possono delineare il ruolo di guida, coordinazione, rendicontabilità, chiarezza, trasparenza, progettualità ed efficacia cui corrispondono altrettante aspettative dei discenti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’insegnante con definitività del provvedimento di dispensa dall’insegnamento.
A cura di avv. Federica Girardi