Correttezza e buona fede come parametri fondamentali di rilevanza giuridica contro l’abuso dei diritti

Il libro IV del Codice Civile, dedicato alla disciplina delle obbligazioni contiene due brevi articoli contenenti disposizione di natura programmatica:
art. 1175 - Comportamento secondo correttezza: Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza.
art. 1375 - Esecuzione di buona fede: Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
L’espresso riferimento all’obbligo di correttezza nei rapporti contrattuali e di buona fede nella esecuzione delle obbligazioni può (rectius deve) assumere un rilievo centrale nella interpretazione di fattispecie negoziali sempre in rapida evoluzione.
E’ particolarmente significativo, quindi, che tanto la Suprema Corte di Cassazione quanto la giurisprudenza di merito, abbiano deciso di richiamare espressamente i principi di correttezza e buona fede, quali parametri imprescindibili di valutazione circa la legittimità del recesso contrattuale anche laddove sia prevista la facoltà di recesso “ad nutum” (ovvero senza necessità di espressa motivazione).
Difatti, l’esercizio arbitrario o addirittura gravatorio del recesso, anche ove fosse previsto come “libero”, potrebbe configurare un “abuso di diritto”, contrario alla logica del sistema negoziale che è improntata sull’esigenza di tutelare l’affidamento tra le parti.
Vengono in rilievo:
- Cass. civ., sez. II, 29.05.2020, n. 10324: “Il giudice del merito non può esimersi dal valutare se l'esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti del contratto, atteso che la mancanza della buona fede in senso oggettivo, espressamente richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c. nella formazione e nell'esecuzione del contratto, può rivelare un abuso del diritto, pure contrattualmente stabilito, ossia un esercizio del diritto volto a conseguire fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito” (con conseguente pronunzia di affetta da nullità la clausola contrattuale che rimetteva l'esercizio del diritto di recesso all'unilaterale, successiva e non previamente conoscibile volontà del predisponente);
- Corte d’Appello Milano, sez. IV, 17.11.2020 n. 2957: “Qualora un contratto preveda il diritto di recesso ad nutum in favore di una delle parti, il giudice del merito non può esimersi dal valutare se l'esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti contrattuali, posto che la mancanza della buona fede in senso oggettivo, richiesta dagli articoli 1175 e 1375 del Cc nella formazione e nell'esecuzione del contratto, può rivelare un abuso del diritto, pure contrattualmente stabilito, ossia un esercizio del diritto volto a conseguire fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito. Tale sindacato deve, pertanto, essere esercitato in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anche di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici" (con conseguente pronunzia di validità del recesso in quanto la decisione non faceva conseguire al recedente risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali il potere di recesso era attributo dal contratto).

a cura di avv. Emilio Galbiati