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Pensione di reversibilità: a chi spetta?

2025-04-03 11:43

Federica Girardi

In caso di decesso del pensionato (o dell’assicurato) è previsto un trattamento pensionistico a favore dei familiari superstiti.

 

In caso di decesso del pensionato (o dell’assicurato) è previsto un trattamento pensionistico a favore dei familiari superstiti.

 

La pensione di reversibilità è pari ad una quota percentuale della pensione del dante causa e vi hanno diritto, in quanto superstiti:

- il coniuge;

- i figli (minorenni alla data del decesso del dante causa, maggiorenni studenti, nonché inabili al lavoro e a carico, indipendentemente dall’età);

- solo in caso di assenza del coniuge e di figli (o comunque se tali soggetti non hanno i requisiti per aver diritto alla pensione a favore dei superstiti), i genitori dell'assicurato / pensionato che abbiano più di 65 anni, non siano titolari di pensione diretta o indiretta e risultino a carico del lavoratore deceduto;

- in assenza di coniuge, figli o genitori (o comunque se tali soggetti non hanno i requisiti per aver diritto alla pensione a favore dei superstiti), i fratelli celibi e sorelle nubili dell'assicurato o pensionato se inabili al lavoro, non titolari di pensione diretta o indiretta e siano a carico del lavoratore deceduto.

Per essere considerato a carico dell’assicurato o del pensionato deceduto il superstite deve versare in condizioni di non autosufficienza economica e di mantenimento abituale. Per l’accertamento di tale condizione (vivenza a carico) assume particolare rilievo la convivenza o meno del superstite con il defunto.

 

Al riguardo, va precisato un punto da ultimo ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14287 / 2024 che ha esaminato la seguente fattispecie: una figlia, stante la sua condizione di inabilità al lavoro e la vivenza a carico della madre alla data del decesso, aveva proposto domanda di pensione di reversibilità rispetto alla pensione goduta dalla madre, titolare di pensione di reversibilità a seguito della morte del marito.

La domanda è stata respinta sul presupposto che la pensione di reversibilità spetta ai superstiti del titolare di una pensione diretta e non può essere trasferita o estesa ai superstiti del titolare di una pensione di reversibilità.

Con specifico riguardo alla figura del coniuge, vi ha diritto

• il coniuge (o l’unito civilmente);

• il coniuge separato;

• il coniuge divorziato, purché non sia passato a nuove nozze, sia titolare dell'assegno divorzile, e la sentenza di divorzio (scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) sia successiva alla data di inizio del rapporto assicurativo del defunto.

Qualora dopo il divorzio l’assicurato/pensionato abbia contratto nuovo matrimonio, hanno diritto sia il coniuge superstite sia l’ex coniuge (non risposato e titolare di assegno divorzile).

In difetto di accordo, le quote della pensione di reversibilità spettanti al coniuge superstite e al/i coniuge/i divorziato/i (fermi i diritti spettanti a figli, genitori o collaterali) sono stabilite con sentenza dal Tribunale. In particolare, l’art. 9 della legge sul divorzio specifica che la ripartizione delle quote della pensione di reversibilità è effettuata dal Tribunale, “tenendo conto della durata del rapporto”.

 

Di recente la giurisprudenza ha però avuto modo di precisare il contenuto di tale previsione normativa esaminando la controversia relativa alla ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l'ex coniuge divorziato.

 

Il Tribunale - richiesto di determinare le quote di spettanza alla ex moglie (titolare di assegno divorzile di € 315,00 e matrimonio durato quasi 40 anni) e al coniuge superstite (matrimonio di sei anni con relazione prematrimoniale di 3 anni e che riferiva di versare in condizioni di indigenza economica) -aveva ripartito la pensione di reversibilità al 70% a favore della ex moglie e per il 30% a favore del coniuge superstite.

La Corte d’Appello territoriale respingeva l’impugnazione proposta dalla seconda moglie, la quale faceva ricorso alla Suprema Corte, lamentando che la quota di pensione riconosciutale era “del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita rispetto all’ex moglie, che ha conseguito, invece, una quota di pensione di reversibilità del tutto sproporzionata rispetto all’assegno di divorzio in precedenza goduto”.

 

La Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 5839 / 2025 ha avuto modo di precisare che la previsione di cui all’art. 9 L 898/1970, ove richiama la durata del rapporto matrimoniale, “stabilisce che il giudice deve certamente tener conto dell'elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare ed, anzi, a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante, il più delle volte decisivo, ma non prevede che sia l'unico criterio utilizzabile nell'apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico”.

In virtù di ciò, la Corte ha ribadito che la ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite “deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla “finalità solidaristica” dell'istituto e individuati dalla giurisprudenza, quali l'entità dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le condizioni economiche” di entrambi, tenendo conto della convivenza; tutti elementi attribuiti alla valutazione e al prudente apprezzamento del giudice di merito.

Di particolare rilevanza la considerazione secondo cui la suddivisione tra gli aventi diritto risponde al principio solidaristico e nello specifico è funzionale alla “continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente

”. Ne consegue che dovrà essere tenuta in considerazione anche l’entità dell’assegno di mantenimento e le condizioni economiche di entrambe le parti aventi diritto.

Lungi dal poter adottare un criterio di ripartizione automatico e di proporzione matematica, la Suprema Corte ha dunque affermato il principio secondo cui “in tema di determinazione della quota di cui pensione di reversibilità all'ex coniuge divorziato ai sensi dell'articolo 9, comma 3, l. n. 898 del 1970, la quota spettante a quest'ultimo non deve necessariamente corrispondere all'importo dell'assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità alle interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l'entità dell'assegno divorzile, in modo tale che l'attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell'istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto”.

 

a cura di avv. Federica Girardi